“Empatia significa comprendere immedesimandosi nell’altro e dedicandosi a lui con calore”.
[Anselm Grün]
I neonati piangono a loro volta sentendo piangere un altro bambino. Il fatto che un’emozione possa suscitare in chi la osserva una emozione simile ha attirato l’attenzione degli studiosi sin dalla fine dell’Ottocento, ed ha ricevuto diverse spiegazioni riguardo sia alle cause, sia agli effetti e alle funzioni adattive.
Nella situazione descritta all’inizio del paragrafo potremmo parlare di empatia primitiva o contagio emotivo, un meccanismo presente fin dalla nascita, che non richiede alcun processo cognitivo, e consiste di risposte innate a certi stimoli scatenanti, come il pianto o espressioni facciali.
Con il termine empatia invece si fa riferimento alla capacità di immedesimarsi con gli stati d’animo e con i pensieri delle altre persone, sulla base della comprensione dei loro segnali emozionali, dell’assunzione della loro prospettiva soggettiva e della condivisione dei loro sentimenti.
Si tratta di un’operazione molto complessa, a partire dal fatto che l’atto empatico ha una duplice natura: è compiuto dall’io, in prima persona (che si rende conto dell’emozione dell’altro), ma non consiste nel fare esperienza diretta di quel dolore, che rimane inequivocabilmente l’emozione dell’altra persona.
Dell’empatia, alcuni autori, riportano tre aspetti che accomunano le varie definizioni e concezioni:
- Una reazione affettiva che comporta la condivisione di uno stato emotivo con l’altro;
- La capacità cognitiva di immaginare la prospettiva altrui;
- Una capacità di mantenere in modo stabile una distinzione sé-altro.
Come si sviluppa l’empatia?
Uno dei modelli che cerca di spiegare come si generi e si sviluppi l’empatia è quello di Hoffman. In primo luogo l’autore amplia la definizione di empatia, facendoci rientrare una serie più ampia di reazioni affettive coerenti con il sentimento provato dall’altro e colloca l’osservazione delle prime manifestazioni di empatia già nei primi giorni di vita del bambino.
L’empatia quindi non viene considerata come qualcosa di “unitario” ma come qualcosa che assume diverse forme in base alla fase di sviluppo del bambino.
Tale modello prevede che l’empatia sia composta da tre componenti, quella affettiva, quella cognitiva e quella motivazionale.
Per aiutarci a capire meglio come questo modello si inserisce nella quotidianità, prendiamo in considerazione l’esempio del neonato ad inizio articolo. Nelle primissime manifestazioni empatiche, come in questo caso, è la componente affettivaad avere il ruolo di maggior rilevanza, mentre la dimensione cognitiva è totalmente assente. Infatti, nel primo periodo di vita, il bambino non riesce a distinguere fra sé e gli altri.
Con il passare del tempo però inizia a comprendere che ciò che provano gli altri è distinto da ciò che prova lui ed è qui che inizia a comparire per la prima volta la componente cognitivache, crescendo, acquisterà sempre maggior importanza e si compenetrerà con la componente affettiva. Il bambino inizierà così non solo a percepire ciò che l’altro prova ma anche a ipotizzare e comprendere le cause per le quali l’altro bambino piange.
La componente motivazionale invece, compare nel momento in cui il bambino cerca di porre fine ad esperienze di sofferenza altrui. Nello specifico l’esperienza empatica rappresenterebbe una motivazione per mettere in atto comportamenti di aiuto. L’effetto motivante dipende dal fatto che condividere l’emozione dell’altro, prestando aiuto, fa scaturire in chi aiuta uno stato di benessere; viceversa, la scelta di non confortare l’altro porterebbe con sé emozioni negative, come ad esempio il senso di colpa.
L’empatia, nella sua forma più matura, si caratterizza quindi come una risposta a un insieme di stimoli comprendenti il comportamento, l’espressività e tutto ciò che si conosce dell’altro. L’acquisizione di questa funzione ha un’evoluzione graduale che trova solitamente compimento intorno ai 13 anni
Accanto alle differenze tra le diverse età, esistono però notevoli differenze individualiche influiscono sul livello di empatia di ognuno di noi.
Possiamo osservare quotidianamente che le reazioni alla sofferenza altrui di cui non si è causa ma solo spettatore possono essere diverse: c’è chi ne è più o meno indifferente, chi reagisce con un disagio personale che lo spinge ad evitare le persone in difficoltà, e chi invece prova simpatia che costituisce una spinta a dare un aiuto.
Queste differenze sono dovute a diversi tipi di fattori:
- Biologico: la sensibilità alla sofferenza è mediata da specifiche strutture cerebrali e nel caso vengano danneggiate questa sensibilità scompare o viene attenuata.
- Contesto familiare: le pratiche educative influiscono in quanto si riflettono sul modo in cui i genitori insegano ai figli a regolare le emozioni.
- Meccanismi di disimpegno morale: consiste nella tendenza ad attivare o meno questi meccanismi volti a prevenire o attenuare l’empatia nei confronti della sofferenza altrui, quando si agisce o si è testimoni inermi in un modo che contrasta con i propri principi morali.
Consigli per sviluppare l’empatia nei bambini
- Parlare di emozioni: primo passo fondamentale è quello di aiutare il bambino a riconoscere e comprendere le emozioni. Esistono molti libri per bambini che aiutano in questo e possono essere un spunto per creare giochi e per scambiare opinioni e idee con i figli su questo tema.
- Dare l’esempio: il bambino fin da piccolo è abituato ad osservare scrupolosamente il comportamento degli adulti e tenderà a metterlo in pratica successivamente.
- Mettersi nei panni dell’altro: parlare con il bambino e permettergli di sviluppare un proprio pensiero e delle proprie idee su quanto accaduto, cercando di accoglierne il punto di vista, gli permette di poter esercitarsi e sviluppare le proprie capacità empatiche.
L’empatia in Terapia
Dal punto di vista terapeutico, l’empatia viene vista da molti autori non solo come uno strumento di conoscenza, ma anche come un importante strumento terapeutico. Infatti l’esposizione ripetuta a esperienze di comprensione empatica, da parte dell’analista, può servire a riparare i “difetti del Sé” del paziente.
Bibliografia:
Berti, A. E., & Bombi, A. S. (2005). Corso di psicologia dello sviluppo.Bologna: Il Mulino.
Boella, L. (2006). Sentire l’altro: conoscere e praticare l’empatia.Milano: Cortina.
Hoffman. (2008). Empatia e sviluppo morale.Il Mulino.
Si ringrazia la dott.ssa Giulia Liva per la collaborazione.