Di questo 2020 se ne parlerà probabilmente nei libri di scuola: stiamo vivendo un momento intenso e particolare della storia umana che ha segnato ognuno di noi.
Sicuramente assistere al dilagare di una pandemia non è stato un evento piacevole, e in generale possiamo aver provato diverse emozioni negative, dalla paura alla tristezza, passando dalla preoccupazione per i nostri cari all’empatia verso chi non conosciamo, ma che è stato colpito in primis da questo virus.
Allo stesso tempo, se pensiamo in particolare al nostro microcosmo, possiamo guardare a quello che è successo e a come, momentaneamente, ci ha cambiato la vita non solo in negativo.
Tra le buone cose da ricordare, e che non dovremo dimenticare facilmente, c’è la riscoperta di alcuni valori importanti per la collettività troppo spesso sottovalutati. Una delle cose che più sono emerse però è stata la consapevolezza che abbiamo bisogno di essere connessi nella vita reale e che i rapporti e le relazioni sono necessari, non solo virtualmente, cosa che sempre più nei giovani e nei ragazzi nati con lo smartphone bisogna insegnare.
La sensibilizzazione da questo punto di vista va coltivata, con la consapevolezza che gli strumenti tecnologici che abbiamo a disposizione sono straordinari, se utilizzati con raziocinio e con moderazione. Grazie a questi stessi strumenti infatti siamo stati in grado di restare uniti, di sopperire alla solitudine e alle emozioni negative che non si potevano più condividere se non tramite uno schermo.
Che siate dei genitori che hanno dovuto gestire i figli a casa a tempo pieno, giovani obbligati ad una convivenza magari con una relazione agli albori, o che abbiate trascorso in solitudine il periodo della quarantena, in ogni caso qualcosa ci accomuna tutti: abbiamo resistito e finalmente abbiamo potuto uscire nuovamente di casa –con le dovute precauzioni ovviamente.
Evidentemente molti di noi hanno scoperto o potenziato risorse che non credevano di avere o che avevano dimenticato. Questa dura prova è stata l’occasione per mettere mano sulle proprie potenzialità e sfruttarle al meglio.
Durante il periodo di reclusione, abbiamo avuto molto tempo a disposizione che forse prima davamo per scontato e in numerosi ci siamo adoperati per trascorrere momenti di qualità, una volta concluso lo smart working giornaliero.
Molti si sono dati alla cucina -pane e pizza erano i cavalli di battaglia con cui ci si sfidava sui vari social-, altri hanno incrementato le ore di fitness o si sono occupati di più del cane, visto che era la scusa principale per poter uscire di casa. In ogni caso, chi in un modo e chi nell’altro, tutti abbiamo trovato una modalità tendenzialmente sana per occupare il surplus di tempo casalingo non passivamente, ma godendo di quegli attimi che, seppur a causa di un allarme mondiale, ci sono stati regalati.
Dunque possiamo pensare positivamente a quello strano periodo di chiusura tra le mura domestiche, e possiamo congratularci con noi stessi se in un momento di avversità siamo riusciti a fronteggiare le contrarietà dando nuovo slancio alla nostra vita, anche se solo per pochi mesi. Le persone in grado di far fronte in maniera positiva ad eventi traumatici, riorganizzando la propria vita senza alienare la propria identità ma sfruttando le occasioni che vengono offerte loro, sono considerate resilienti.
La resilienza è un concetto che è stato ampiamente abusato nel gergo comune negli ultimi anni, ma è un concetto estremamente profondo e importante che si colloca perfettamente in questo periodo storico. Questo concetto non deve essere confuso con quello di “resistenza”, che coincide con la capacità di una persona di resistere e di opporsi, non di adattarsi, a particolari fattori tendenzialmente di natura negativa o comunque perturbanti.
La resilienza può essere considerata una funzione psichica che si modifica nel tempo, grazie alle esperienze che la persona vive e in relazione all’interpretazione di queste in termini positivi. Essa non è innata nella persona, ma sicuramente può essere influenzata da diversi fattori.
Vi sono fattori individuali che possono portare qualcuno ad essere maggiormente resiliente come l’ottimismo, la capacità di risolvere i problemi, l’empatia e l’autostima; vi sono poi fattori sociali e relazionali per cui l’integrazione in un contesto sociale e instaurare relazioni di buona qualità possono essere determinanti.
Le qualità che abbiamo potuto sfruttare nel periodo della quarantena sicuramente erano limitate, in quanto la rete sociale e il supporto di amici e familiari non potevano essere considerati, se non a livello telematico e metaforico.
Il fatto di potersi basare solo sulle proprie forze può fare più paura, ma a posteriori vuol dire che siamo stati in grado di destreggiarci tra le difficoltà di ogni giorno usando le risorse interne che avevamo e che abbiamo tutt’ora: quelle stesse potenzialità sono rimaste nonostante il periodo buio sia passato e questo è un pensiero molto confortante.
Questa consapevolezza è la parte bella dell’eredità legata al Covid-19, non credete?
Si ringrazia la dott.ssa Chiara Parma per la collaborazione.