Da quando è scattata l’emergenza Coronavirus abbiamo assistito a diverse reazioni delle persone.
Chi si affrettava a prendere un treno per tornare a casa, a km di distanza, nonostante le Autorità lo avessero altamente sconsigliato, chi ha preso d’assalto gli scaffali del supermercato dopo ore e ore di coda con il carrello, chi, al contrario, ha continuato a vivere la propria vita senza protezione alcuna quasi invasi da un senso di onnipotenza e, infine, chi si è adeguato, pur con sofferenza, alle regole imposte dal Governo.
Reazioni tutte diverse tra loro ma con un unico denominatore comune: la paura.
L’essere umano è per sua natura orientato al controllo. Non ci piace essere in balia di un qualcosa che non conosciamo, che addirittura non vediamo, perché questo mina la nostra zona di sicurezza entro cui possiamo sentirci padroni della nostra vita.
La paura è una delle nostre emozioni di base, ancestrali. Ci accompagna da quando eravamo più simili ad un animale che all’Homo Sapiens ed è una emozione adattiva in quanto garantisce la nostra difesa e la nostra sopravvivenza, tenendoci lontani dai pericoli.
In misura equilibrata è giusto provarla ed è quella che ci fa stare chiusi in casa, in quarantena, nonostante la voglia di uscire, il desiderio di vedere i familiari, gli amici e di riappropiarci della nostra vita pre-virus.
Riusciamo così a seguire tutte le indicazioni che ci vengono fornite attuando dei comportamenti funzionali e idonei, mantenendo una giusta dose di lucidità e di eustress (stress positivo), nonostante possano esserci nel corso della giornata dei momenti di maggior pesantezza o disagio emotivo.
Accade però che la paura ci porti a mettere in atto dei comportamenti eccessivi, irrazionali e che non trovano una sua base logica.
Andiamo quindi al supermercato anche a prendere quello di cui non abbiamo bisogno, riempiendo i carrelli come mai abbiamo fatto nella vita.
Lievito, farina, pasta sono quasi introvabili ad oggi, eppure ci sono state date numerose raccomandazioni da parte delle autorità sul costante rifornimento di questi alimenti e della loro reperibilità.
E allora, perché? Perché abbiamo paura. Sentiamo intaccata la nostra sopravvivenza, temiamo di rimanere senza cibo, l’unica cosa che ci garantisce l’assoluta possibilità di sopravvivere, senza contare che l’affollamento dei supermercati ha promosso proprio ciò che dovevamo evitare: la concentrazione di molte persone in uno spazio ristretto.
Gli acquisti compulsivi aiutano a razionalizzare le paure e a esercitare, dove è possibile, una forma di controllo sulla propria vita.
Ma c’è anche un altro motivo. Il comportamento per imitazione.
Se io sono al supermercato e vedo una, due, tre persone che riempiono il carrello di pane, lo farò anche io senza fondamentalmente sapere perché. Se vedo gli scaffali vuoti e manca la farina allora penserò che se tutti prendono la farina allora non si può farne a meno, a qualcosa è necessaria e quindi la prenderò anche io.
Negli Stati Uniti la carta igienica sta diventando introvabile tanto che alcuni supermercati hanno imposto il limite d’acquisto di due confezioni a famiglia. Eppure la carta igienica non da alcuna protezione dal coronavirus!
Le immagini di scaffali vuoti e carrelli pieni ci hanno inondato su tutti i canali dalla televisione, ai social e ai giornali. Le persone vedono le immagini di altre persone in preda al panico, acquistano in maniera esagerata, presumono ci sia un motivo valido per comportarsi in questo modo e quindi corrono ad acquistare a loro volta.
Stessa ragione che ha indotto moltissime persone a salire su treni o mezzi di trasporto per raggiungere casa anche se lontana migliaia di km ignorando sia la possibilità di contagiarsi sia quella di contagiare.
Questi sono tipici comportamenti disorganizzati, irrazionali e infruttuosi se non addirittura pericolosi frutto di uno stato emotivo di ansia, agitazione e di contagio emotivo.
Così come la caccia all’untore o la ricerca affannosa di teorie alternative, spesso complottistiche, , ha spinto a cercare un colpevole a cui attribuire colpa e responsabilità per reagire ad uno stato di impotenza vissuto e tornare ad acquisire un minimo di padronanza e controllo sulla situazione.
L’essere umano ha bisogno di attribuire significati all’esperienza e di formarsi idee e convinzioni sulle vicende in cui è coinvolto perché è molto difficile tollerare frustrazione, incertezza, insicurezza e quindi agisce nel modo in cui gli sembra più idoneo a ricreare queste sensazioni anche se non sempre coincide con il comportamento più funzionale e appropriato.
All’estremo opposto abbiamo invece comportamenti del tutto contrari al livello di gravità della situazione frutto comunque di pensieri e credenze errati “tanto a me non succede”, “non colpisce i giovani” perché si ha bisogno di vedere la situazione lontana dalla propria zona di sicurezza e non sentirsi coinvolti o minacciati.
Tuttavia questa modalità di azione non consente di promuovere comportamenti di auto-etero protezione facendo aumentare il livello di rischio soggettivo e di comunità.
Molte persone stanno a casa seguendo scrupolosamente le indicazioni fornite dalle autorità competenti, attenendosi alle regole.
Se questo scenario appare quello più ragionevole a livello comportamentale ciò non vuol dire che venga vissuto senza alcuna difficoltà emotiva.
Possono infatti manifestarsi momenti di attivazione ansiosa, umore depresso, pensieri negativi che prendono il sopravvento, irritabilità, pianti improvvisi, difficoltà del sonno e dell’appetito.
Tutto questo è NORMALE e fa parte di quell’insieme di reazioni che si possono provare di fronte a eventi così difficili e catastrofici.
Non si deve cercare di negare, soffocare o cercare di invalidare quanto sta accadendo dentro di noi ma è importante ascoltarci e promuovere comportamenti utili e finalizzati sia a contribuire personalmente alla risoluzione dell’epidemia sia al mantenimento di un sano equilibrio personale per ripristinare un livello di controllo adeguato e costruttivo.
In sintesi… occuparci del Coronavirus invece di PREoccuparci(soltanto)!